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Bagni di Sant'Agostino
A Bagni di Sant'Agostino, una zona balneare tra Tarquinia e Civitavecchia, affiorano le arenarie di Manciano che formano la scogliera bordante la spiaggia e gli stabilimenti. Queste arenarie, ben cementate e di granulometria medio-grossolana, sono ricche di testimonianze fossili e geologiche di questo ambiente del Miocene. Molti esempi di ichnofossili si osservano in queste rocce.
La scogliera che borda la piccola serie di baie di Bagni di Sant'Agostino si presenta imponente e molto diversa dai terreni circostanti. Ci troviamo in una zona litorale ad alta energia, in cui gli scogli arenacei vengono lambiti dalle onde ed erosi; questi sono abitati da una fauna tipica della zona degli spruzzi come molluschi, crostacei, pesci, anellidi e attinie. È un luogo ben diverso dai litorali dei dintorni: questa scogliera taglia nettamente la continuità sabbiosa della linea di costa tra Tarquinia e Civitavecchia che risulta perlopiù bassa con pochi tratti rocciosi (ci troviamo vicino alla foce del fiume Mignone, zona di deposizione di fini sabbie e fanghi).
Gli affioramenti più importanti di queste arenarie si trovano sul mare, nella zona ovest, mentre nella zona est gli affioramenti sono quasi totalmente ricoperti dal poggio in cui si imposta il parcheggio. La litologia che compone questa scogliera è l'arenaria di Manciano: queste rocce si presentano in grossi banchi poco stratificati, compatti, uniformi, molto bioturbati. È possibile osservare
fossili e
ichnofossili, strutture sedimentarie di erosione o bioerosione ma anche segni geologici delle epoche successive alla deposizione. Questa litologia affiora solo in pochi punti all'interno di un'area molto estesa: si può osservare nei dintorni della zona qui recensita (vedi la mappa geologica ISPRA sotto) e in alcuni punti del Lazio settentrionale costiero e della Toscana meridionale.
In particolare sono stati rilevati diversi affioramenti nei pressi di Civitavecchia (2), nei dintorni di Manciano (GR) (16) (da cui prendono il nome) e Pescia Fiorentina (GR) presso il fiume Fiora (16), nei pressi del fiume Marta tra Tarquinia e Tuscania (VT) (dove prende il nome di Unità di Guado della Spina, BGS (4)), e un lembo affiora perfino tra le rocce vulcaniche di Sutri (VT)(11). Utilizzate anche come materiale lapideo (15), queste rocce rappresentano i resti di un ciclo di deposizione arenaceo che ha interessato questo tratto litorale nel corso del Miocene. L'ambiente di deposizione di queste rocce è ben definito e i fossili sono tutti molto simili presso i vari affioramenti. L'età di queste arenarie accettata dalla maggior parte degli studiosi è di circa 12-20 MA, corrispondente ai piani del Miocene dal Burdigaliano al Serravalliano inferiore (29), ma vedremo presto che le opinioni sulla datazione precisa sono discordanti.
Questo affioramento è abbastanza particolare rispetto agli altri recensiti nella Tuscia viterbese, anzitutto per l'età miocenica (nella Tuscia sono maggioritari i siti fossiliferi del Pliocene e Pleistocene) ma anche per il tipo di fossili, rappresentati principalmente da echinodermi, anellidi, molluschi e resti di pesci. Sono presenti strutture geologiche ben studiabili e didattiche come crepe e fratture, segni di erosione, bioturbazioni e colorazioni che rimandano al tipo di ossidazione subito dai sedimenti durante la deposizione ma anche dalla roccia dopo la litificazione. Questa zona, per la facile accessibilità e l'esposizione ottimale, è perfetta per osservare questi aspetti geo-paleontologici e per ottenere una piccola finestra sull'ambiente marino di acque poco profonde che ha caratterizzato queste zone durante il Miocene medio-inferiore.
Arenarie e calcareniti di Sant'Agostino: si riconosce la stratificazione a basso angolo di inclinazione.
Le arenarie di Manciano possono essere definite arenarie in quanto composte da clasti dalla granulometria delle sabbie da medie a grossolane; agli strati arenacei possono intercalarsi strati calciruditici e conglomerati sabbiosi, così come livelli di sabbie quasi sciolte (4)(24). La classazione dei grani è bassa e sono generalmente ben cementate da carbonato di calcio il quale le conferisce una particolare tenacità. Le sezioni lucidate di questa pietra, ottenute dal suo utilizzo come materiale lapideo (15), mettono ben in risalto alcune caratteristiche come la stratificazione incrociata (formata da correnti unidirezionali sul fondale) e la presenza di livelli sottili dove si accumulano i gusci di Ostrea, testimonianza di periodi di mareggiata. Gli studiosi hanno scoperto, tramite l'osservazione al microscopio, che i granuli dell'arenaria di Manciano sono composti da materiale sia vulcanico che sedimentario proveniente dal disfacimento delle sottostanti liguridi; inoltre sono presenti microfossili come briozoi, foraminiferi e resti algali, carbonatici (5). Arenarie di questo tipo, composte da clasti di diversa composizione chimica, sono dette arenarie ibride secondo la nomenclatura di Zuffa (31)(34), al contrario delle "classiche" arenarie formate da granuli prevalentemente silicatici terrigeni, di provenienza continentale.
La presenza di fossili e ichnofossili indica che le sabbie dalle quali derivano queste arenarie dovevano essere abitate da diverse forme di vita, soprattutto
echinodermi,
anellidi,
cnidari,
molluschi
e
pesci
che attivamente modificavano il fondale durante la loro vita. Per questo motivo sono molte le tracce di
bioturbazione: canali, solchi, calchi di forma geometrica, fori e incrostazioni sono la prova che le sabbie sono state frequentate da esseri viventi quando si sono depositate e litificandosi hanno conservato nella loro struttura queste impronte.
Oltre alle testimonianze biologiche in queste rocce si possono osservare diversi esempi di strutture geologiche come croste calcaree o saline, fratturazioni, erosioni differenziali o colorazioni particolari.
Le rocce che ad oggi si trovano appena sopra il livello del mare presentano numerose file di fori rotondi e simili tra loro organizzati in file più o meno parallele al livello del mare: si tratta di fori impressi da molluschi litofagi che hanno vissuto in periodi in cui il mare bagnava totalmente le rocce a quell'altezza, infatti sia il livello del mare che la quota della terraferma hanno subito variazioni nel tempo per cambiamenti climatici, come periodi glaciali e interglaciali, e a causa della tettonica. Questi fori sono stati quindi generati in tempi ben più recenti del Miocene, ossia quando la roccia era già formata e ha potuto ospitare questi bivalvi; potrebbero quindi risalire al Pleistocene in quanto se fossero più antichi (Pliocene) l'erosione costiera li avrebbe già distrutti. Un ulteriore segno della ciclicità del livello del mare sono i solchi di battigia osservabili a diverse quote: testimoniano periodi in cui il mare era più profondo, o meglio il livello dei mari era superiore, come durante gli interglaciali del Pleistocene.
Altra forma di erosione osservabile è la cosiddetta erosione alveolare, che consiste nella corrosione di porzioni superficiali di roccia che vengono attaccate chimicamente dall'acqua salata generando fori e depressioni ovaloidi chiamate "tafoni". Questa modalità di erosione è dovuta all'azione combinata di vento, acqua e salsedine, molto simile al tipo di erosione che interessa le arenarie del Macigno a Calafuria (Livorno) (21). Distinguere un'erosione di tipo alveolare da una provocata da molluschi litofagi è spesso molto semplice: i fori prodotti dalla prima modalità sono non uniformi, quasi sempre non perfettamente rotondi, distribuiti in modo reticolare e a volte comunicanti tra loro (con diversi fori secondari all'interno dei principali) e disposti in modo apparentemente casuale, mentre i fori dei bivalvi litofagi sono ben rotondi o ellittici, non comunicanti, uniformemente spaziati e di dimensioni simili.
In queste arenarie possiamo osservare i cosiddetti anelli di Liesegang, rappresentati da bande colorate formate dalla deposizione diagenetica di alcuni minerali (avvenuta cioè dopo la litificazione), disposti in anelli circolari o in bande verticali (14)(15). In questo caso si tratta di minerali ferrosi (probabilmente ematite o limonite) poichè di colore rosso-ocra, e sono la conseguenza della circolazione di fluidi attraverso le fratture della roccia. I fluidi hanno depositato il loro carico ferroso quando la roccia si era già consolidata, e non prima, come provano diversi anelli che attraversano anche ichnofossili, molto delicati se già non litificati. In effetti in queste rocce lambite dal mare e dagli spruzzi ci sono moltissime manifestazioni di alterazione chimica e fisica post-litificazione, che spesso sormontano e obliterano le strutture geologiche deposizionali; un altro fattore che ha distrutto la stratificazione originale di intere porzioni di roccia è la bioturbazione, ossia l'azione degli organismi che vivevano nel sedimento.
Un'altra forma di erosione presente è l'erosione sferoidale, un tipo di erosione chimica che separa porzioni concentriche di roccia generando degli sferoidi che si sfaldano come cipolle; questo particolare disfacimento è generato dall'azione chimica dell'acqua meteorica che converte parte dei minerali contenuti nelle rocce, come i minerali dell'argilla, in caolino o clorite, i quali hanno un volume maggiore di quello iniziale e quindi separano meccanicamente i due strati di roccia coinvolti (24). Il contributo a questo fenomeno dei cicli di gelo e disgelo deve essere invece più limitato, dato che questa è una zona marittima dal clima mitigato.
Riguardo alla datazione delle arenarie di Manciano il dibattito è ancora aperto: non si possono definire con certezza assoluta datazioni basate sui fossili poichè prive di fossili-guida abbastanza specifici, inoltre i rapporti con le unità sottostanti sono inconformi. Tuttavia la maggior parte degli studiosi sono ad oggi orientati su un età compresa tra il Langhiano e il Serravalliano (Miocene medio, circa 11-16,6 MA) (33)(2)(5)(19). Barbieri et al. (2003) (6) hanno effettuato una datazione agli isotopi di stronzio sui fossili di echinidi e bivalvi e attribuiscono le arenarie di Manciano al Messiniano superiore, al tramonto della crisi di salinità del Mediterraneo: questo dato si basa sul confronto del rapporto tra isotopi trovato in queste rocce con modelli già stabiliti, ma non può tenere conto di diluizioni e contaminazioni da parte di acqua successiva alla deposizione (24). Inoltre è universalmente riconosciuto che durante il Messiniano superiore il Mediterraneo sia stato interessato da un regime di mare-lago salato, con discesa drastica del livello del mare e cambiamento di deposizione da marina a continentale. Per questi motivi l'età langhiana-serravalliana è ad oggi più riconosciuta.
Per avere una visione globale e semplice del susseguirsi di ambienti deposizionali tra il Miocene medio e oggi è molto utile questo documento (link: 30) che riporta l'evoluzione dei bacini medio-toscani i quali in questo lasso di tempo hanno avuto un'evoluzione abbastanza simile alla zona della Tuscia viterbese. Si nota come durante il Miocene medio la zona tosco-laziale fosse interessata da bacini marini interni che si sono poi ritirati durante la crisi del Messiniano, permettendo la deposizione di gessi e altri sali: testimonianza di ciò nella nostra zona sono gli affioramenti gessiferi nei dintorni di Civitavecchia (GES nella carta ISPRA), mentre in Toscana i bacini evaporitici dovevano essere più ampi e più uniformemente sottoposti a evaporazione data la loro maggiore estensione. Quindi teoricamente GES dovrebbe ricoprire le arenarie di Manciano, anche se come detto sopra non tutti sono d'accordo. Successivamente nel Pliocene inferiore si assiste a una nuova trasgressione marina, molto importante, che ha generato le argille SBM che ricoprono GES: in queste argille si possono infatti trovare depositi gessiferi, probabilmente di genesi erosiva dai GES sottostanti. Successivamente nel Pliocene medio-superiore il mare si è uniformemente ritirato finché nel Pleistocene queste rocce sono state interessate da cicli di immersione ed emersione dovuti alla serie di fluttuazioni ambientali che hanno portato gradualmente al nostro interglaciale.
In conclusione, si può dire che l'ambiente di deposizione di queste arenarie è di
mare poco profondo
(prossimo alla costa) con fondale sabbioso in cui in alcuni punti si formavano lingue di sabbia in cui i
ripple marks e altre strutture sedimentarie si sono conservati litificandosi. La granulometria grossolano-media indica che l'ambiente doveva essere relativamente ad alta energia e vicino alla costa, in quanto il materiale più fino è stato dilavato a profondità maggiori andando a formare altre litologie (5). Consistenti erano gli apporti terrigeni, probabilmente derivanti da fiumi o torrenti, come testimoniano le grosse colonie di
Ditrupa cornea; il fondale era ben ossigenato e ricco di nutrienti, quindi questo ambiente doveva essere nelle vicinanze di delta fluviali che garantivano questa abbondanza sfruttata da organismi che vivevano attivamente nel sedimento. Le alternanze di livelli molto bioturbati ad altri praticamente intatti indica una certa alternanza nelle condizioni biotiche, in particolare a momenti molto favorevoli (bassa energia, apporti nutritivi, ossigeno) dovevano seguire periodi più critici come mareggiate, tempeste e piene fluviali (che hanno impresso
ripple, depositato strati pelitici e generato altre strutture sedimentarie)
che ostacolavano momentaneamente la vita degli organismi e seppellivano quelli già in loco. Successivamente a questi eventi abiotici, la nuova abbondanza di nutrienti permetteva l'instaurarsi di grosse colonie di
Ditrupa e foraminiferi bentonici e di tutto l'ecosistema associato.
Aspetti ambientali e geologici
Le arenarie di Manciano fanno parte del ciclo sedimentario avvenuto nel Miocene medio che ha interessato la zona della Toscana meridionale e del Lazio settentrionale (ma in generale tutta l'area tirrenica). La genesi di queste rocce è attribuita al regime tettonico distensivo che ha formato dei graben (depressioni tettoniche generate da un sistema di faglie dirette, come avviene in Africa nel Rift Valley (12)) che oggi si presentano come una serie di bacini occupati dai fiumi moderni (13). Nella nostra zona esse poggiano direttamente e in modo discordante (ossia non in continuità stratigrafica) sugli strati torbiditici del Cretaceo-Eocene (FYT, flysch della Tolfa, e PTF, pietraforte) e fanno parte del ciclo sedimentario neogenico del bacino di Tarquinia (11)(18); troviamo litologie simili nel grossetano (come le arenarie di Ponsano (20)) affioranti anch'esse con discontinuità e in piccole aree circoscritte.
Le arenarie di cui discutiamo in questa pagina sono definite "epilìguri", in quanto i granuli dai quali si sono formate derivano dallo smantellamento delle rocce liguridi o sub-liguridi (rocce che si sono formate in contesto di bacino oceanico, come il flysch tolfetano o le ofioliti appenniniche)(20). In realtà ci sono, ad oggi, varie interpretazioni della dinamica che ha causato il formarsi di suddetti bacini tettonici e quindi la formazione di queste rocce: alcuni ritengono che le arenarie di Manciano derivino da ambienti di spiaggia sommersa influenzati da correnti in un contesto sin-collisionale, quindi compressivo (Martini et al., 1995 (5)), mentre altri affermano che si siano formate in bacini tipo graben ottenuti da movimenti distensivi (Carmignani et al., 1994 (19)). Alcuni dati sulla velocità di deposizione in contesti collisionali ad oggi certi (bacini degli Appennini settentrionali) indicano una differenza tra questi e quelli calcolati per le simili arenarie di Ponsano (misurato in metri di sedimento per milione di anni), suggerendo che queste ultime possano essere più probabilmente di natura distensionale (20). Qualunque sia il parere queste arenarie si sono depositate in periodo sin-orogenico, ossia mentre avveniva il sollevamento di una catena montuosa, in questo caso gli Appennini (4)(29).
Per riassumere, le arenarie di questa spiaggia si sono depositate al tramonto di un periodo di regime di mare profondo nel quale le torbiditi hanno colmato gradualmente il fondale formando strati potenti diversi chilometri. Durante il Miocene le condizioni ambientali si sono evolute verso un mare definitivamente meno profondo e formante numerosi bacini interni nei quali si sono depositate le arenarie di Manciano e le litologie correlate, per poi passare a condizioni costiere e addirittura continentali con la crisi del Messiniano. Nel successivo Pliocene il mare ha di nuovo trasgredito verso la terraferma formando, in modo discontinuo, un ambiente di mare relativamente profondo testimoniato dalle argille, poi meno profondo nel caso di sabbie e calcareniti; le condizioni si sono gradualmente continentalizzate nel Pleistocene fino ad oggi.
Un altro indizio che farebbe escludere la datazione messiniana superiore sono i fossili: resti di echinidi irregolari integri, di anellidi tubicoli e la presenza diffusa di ichnofossili indicano che molti organismi vivevano attivamente nel fondale sabbioso, il quale doveva risultare abbastanza popolato e ossigenato, non iperalino. Se la datazione fosse corretta, ci troveremmo in un punto del Mediterraneo che non ha subito una grande evaporazione e che ha permesso ai livelli di salinità di non raggiungere valori letali, permettendo alla fauna che oggi troviamo nelle rocce di prosperare.
Molti geologi infatti affermano che queste arenarie non possono essere riferite all'ambiente mare-lago (19) e che quindi la datazione deve essere precedente (Serravalliano-Langhiano), in accordo con i fossili di Scutella rinvenibili. Bisogna osservare che la maggior parte delle ricostruzioni del Mediterraneo messiniano non prevedono un mare totalmente essiccato ma, appunto, diversi bacini di mare-lago iperalini che sopravvivono nei punti in cui il fondale era più profondo e altri con condizioni di salinità normale, in prossimità delle foci di grandi fiumi; se la datazione messiniana fosse corretta queste arenarie potrebbero essere la testimonianza di un bacino interno non interessato da evaporazione eccessiva grazie ad apporti fluviali particolarmente elevati, tuttavia per quanto si sa non esistevano, in quel periodo, grossi fiumi che potessero permettere la sopravvivenza di un bacino così grande in questa zona (i fiumi che, secondo i modelli, hanno permesso la sopravvivenza di questi bacini marini sono ad esempio il Nilo e il Rodano).
Sopra, le carte ISPRA dove compaiono le arenarie di Manciano. Le prime due dalla carta ISPRA 1:100.000 foglio 142 Civitavecchia con schema stratigrafico, dove sono riportate con "M" del Miocene (medio?). Le altre tre dalle carte ISPRA CARG 1:50.000 fogli 354 Tarquinia e 355 Ronciglione, con schema stratigrafico, dove vengono riportate con "BGS" nel foglio Tarquinia e con "FMN" nel foglio Ronciglione: gli autori delle Note illustrative del foglio Tarquinia indicano come BGS possa in realtà essere riferito a FMN, "Arenarie di Manciano".
Un punto a favore della datazione messiniana è invece il passaggio laterale dalle arenarie di Manciano di S. Agostino a depositi gessiferi, sicuramente messiniani, del Gruppo Gessoso-Solfifero che affiorano pochi chilometri più ad est, nei pressi di Civitavecchia nord (Aurelia, Pian dell'Organo) (22); tuttavia altri autori credono che nel Messiniano evaporitico queste arenarie si fossero già litificate e, affiorando, abbiano potuto delimitare bacini di evaporazione nei quali si sono depositati i sedimenti argilloso-marnosi gessiferi visibili oggi (18).
Aspetti paleontologici
Le arenarie di Manciano di Bagni di S. Agostino sono molto bioturbate e contengono innumerevoli tracce della vita che il mare miocenico ha ospitato quando queste erano ancora sedimenti incoerenti in un fondale poco profondo. Tra i fossili più caratteristici ci sono gli echinodermi del genere Scutella, divisi in tre specie secondo lo studio di Giannini, 1957 (che purtroppo non si trova online in forma gratuita), rinvenibili in esemplari isolati e, a volte, ben conservati. Questo autore, studiando le arenarie negli affioramenti presso Manciano, ha potuto rinvenire diverse specie fossili appartenenti a questo genere (S. leognanesis, S. striatula e S. paulensis) che hanno permesso la datazione al Langhiano (5). Oltre ai fossili completi, troviamo numerosi frammenti di natura incerta appartenenti probabilmente ad echinidi, molluschi o balani che si ritrovano sparsi nelle grosse bancate di arenaria. La fauna litorale è rappresentata da balani e ostriche, di dimensioni piccole per i primi e anche medio-grandi per le seconde, disarticolati e sepolti in modo caotico. A tratti si possono trovare interi banchi di anellidi fossori, simili a Ditrupa cornea, che con i loro tubi vitali costituiscono buona parte del volume di certi massi; sono organismi adattati a vivere a profondità molto varie, da pochi metri a centinaia, quindi non possono dare un'idea sulla profondità ma essendo dipendenti dal materiale terrigeno e organico della terraferma si può affermare che vi fossero apporti fluviali.
Si possono trovare diversi resti di pesci ossei come denti e vertebre, probabilmente appartenenti agli Sparidae (9) (orata, pagello, pagro); nella foto, in alto a sinistra, si può vedere una piccola vertebra di pesce osseo, rinvenimento relativamente comune in queste arenarie. La presenza di pesci indica un ambiente ricco di prede, quindi biologicamente attivo, ossigenato e in grado di sostentare una catena alimentare.
Numerose sono le incrostazioni di chiara origine biologica attribuibili ad alghe calcaree e briozoi. Il fatto di trovare, in alcuni punti, i delicatissimi gusci di Scutella ancora integri oppure rotti ma in posizione vitale indica che questi animali abitavano il sedimento mentre si depositava, finendo per esservi inglobati senza alcun trasporto post-mortem; in questo modo le fragili piastre sono rimaste al proprio posto ma molti gusci si sono comunque frammentati per la pressione della sabbia sovrastante e della successiva tettonica. Al contrario, le Ostrea e i balanidi dovrebbero provenire da tratti di mare litorali a distanza maggiore, ossia vi sono stati trasportati, in quanto si rinvengono erosi e disarticolati, mentre altri animali come echinidi e anellidi sono meglio conservati nonostante la maggiore fragilità e possono essere definiti autoctoni, ossia viventi nell'ambiente stesso di deposizione. Le colonie di alghe calcaree, che in alcuni punti formano interi strati o lenti, possono prosperare solo se il tasso di sedimentazione è tale da evitare il loro seppellimento. Pertanto, durante il periodo di deposizione di queste arenarie, le condizioni ambientali dovevano cambiare ciclicamente. Inoltre, a periodi di calma dovevano alternarsi momenti di maggiore energia come tempeste o piene fluviali che apportavano materiale terrigeno nuovo di cui gli anellidi Ditrupa si nutrivano (5).
Questo equilibrio dinamico si riflette nella geologia degli strati, infatti a grosse bancate bioturbate di arenaria si alternano strati di materiale pelitico (fine, di apporto fluviale), e ciottoli o gusci ammassati e confinati in un singolo strato.
Molto rappresentati, e paleontologicamente molto importanti, sono gli ichnofossili: i più comuni da osservare sono sicuramente gli ichnogeneri Thalassinoides, Skolithos e Ophiomorpha, i quali sono generati da diversi tipi di organismi (anellidi, echinodermi o crostacei) e si presentano come tubi e gallerie riempite di sedimento. Più rari sono i Diplocraterion, visibili nelle grosse bancate non stratificate come un ventaglio di piccoli tubi disposti a "U". Dire con certezza quale organismo li abbia prodotti è difficile, e si ricorre all'osservazione del comportamento di animali attualmente esistenti o si analizzano i pochi fossili fortunati in cui si rinviene sia l'ichnospecie che l'organismo che l'ha generata. Come detto sopra, la presenza di molti ichnofossili indica condizioni biotiche favorevoli come un tasso di sedimentazione costante e adatto a queste forme di vita, apporti nutritivi e acque calme e poco profonde. Le bancate dove si osservano ichnofossili hanno perso la stratificazione originale, segno di un'alta attività biologica. Studiati da diversi autori, gli ichnofossili qui rinvenibili sono quasi sempre tubi e gallerie e si distinguono tra loro dalla forma, dal diametro del tubo e dalla sua lunghezza. Questa distinzione è puramente morfologica, tuttavia c'è un certo riscontro tra i parametri geometrici di questi tubi e chi li ha prodotti (ad esempio i Thalassinoides sono prodotti oggi da molti organismi ma soprattutto dai crostacei thalassinidi (25)) ed è quindi molto utile distinguerli secondo i parametri geometrici.
In generale gli ichnofossili qui presenti appartengono alla
Skolithos ichnofacies,
tipica dei fondali sabbiosi poco profondi e caratterizzata da tracce verticali (ossia intersecanti perpendicolarmente gli strati, quindi il fondale): questa facies indica che il fondale era molto poroso e con un alto tasso di penetrazione dell'ossigeno (32).
Thalassinoides
si presenta come un reticolo di tubi che si dividono con forma a "Y", interconnessi, non ornamentati, cilindrici, dal diametro circa costante di 1-3 cm. In queste arenarie se ne trovano alcuni isolati, dall'inconfondibile forma a "Y". Si pensa siano tubi abitativi di gamberi e gamberetti, come gli attuali Thalassinidea (25)(26).
Ophiomorpha
e
Skolithos
si presentano come tubi dal diametro di circa 1-3 cm, dalla sezione rotonda o poco ellittica, di lunghezza anche fino al metro, verticali (perpendicolari alla superficie di deposizione) o leggermente obliqui, non troppo contorti e non ramificati. Si pensa siano stati generati da anellidi fossori (un esempio moderno è l'arenicola) o da crostacei che vivevano in questi tubi dalla sezione a "U" e dai fianchi verticali, nei quali espletavano tutte le funzioni vitali (27)(28). Nelle arenarie di questa spiaggia è possibile osservarne molti, di diversi diametri e lunghezze, alcuni con sezioni particolari che permettono di vedere il modello 3D dell'ichnospecie (foto a destra).
La differenza tra
Ophiomorpha e
Skolithos è nell'ornamentazione delle pareti del tubo: il primo è caratterizzato da una parete ornamentata da perline e nodosità, mentre il secondo presenta un tubo liscio ed omogeneo.
Ophiomorpha è stato largamente osservato nei pressi di Manciano e nelle altre località dove affiorano queste arenarie ma risulta raro a Sant'Agostino dove invece i Skolithos sono molto frequenti.
Diplocraterion è un ichnogenere molto particolare e ben riconoscibile, costituito da un ventaglio di tubi evoluto in modo lineare che dona una forma "a menischi" a tutta la struttura. I tubi di cui è composto sono in genere di 1-2 cm di diametro e possono anche raggiungere i 30 cm di lunghezza. Rappresenta quello che viene chiamato equilibrichnia, ossia un ichnofossile testimone del mantenimento dell'equilibrio tra organismo e sedimento. Si pensa infatti che i Diplocraterion originino dalla migrazione verso l'alto di organismi che vivono nel fondale in tubi a forma di "U"; questa migrazione è dovuta alla sedimentazione che provoca un seppellimento dei fori di entrata e uscita a questi tubi, fenomeno al quale l'animale reagisce spostandosi in verticale e lasciando dietro a sé una scia di lamine meniscate di forma tubulare a testimonianza delle posizioni precedentemente occupate dall'organismo. Si tratta in genere di anellidi o crostacei o altri organismi sospensivori che cercano, dopo un forte evento di deposizione come una tempesta o una piena, di riemergere dal sedimento ed essere sempre in contatto con la colonna d'acqua dalla quale si nutrono.
In definitiva le associazioni di fossili e ichnofossili, insieme agli aspetti geologici, ci permettono di ipotizzare che nel Miocene medio il territorio al quale questi sedimenti appartenevano era un tratto costiero-litorale poco profondo, al massimo qualche decina di metri, dove può filtrare la luce che fa prosperare le alghe coralline. In questo contesto vivevano echinidi, pesci, anellidi, crostacei e bivalvi.
Questo tratto di costa era inoltre interessato da eventi energici quali mareggiate che trasportavano in profondità pezzi di organismi dai litorali (come ostriche e balani), e apporti di piene fluviali che trasportavano materiale pelitico, ricco di nutrienti, in cui si insediavano grossi banchi di Ditrupa.
Conservazione
Questa scogliera è ben esposta all'erosione marina e lo è sempre stata, come testimoniano i numerosi solchi di battigia e i fori di litodomi a quote più alte. In generale questi fossili e ichnofossili sono ben protetti dall'azione umana che, si spera, non dovrebbe apportare modifiche alla scogliera; la loro tenacità ne favorisce inoltre la resistenza all'erosione.
Tuttavia interventi di cementificazione ed accumulo di sabbia o rifiuti marini contribuiscono ad oscurare e danneggiare il contenuto scientifico di queste arenarie, anche se tutto sommato nonostante le pesanti opere edili balneari questo sito risulta ben esposto e conservato.
Come arrivarci
Essendo una zona balneare l'accesso è garantito dalla strada litorale che va da Tarquinia
a
Civitavecchia
svoltando poi per
Bagni di Sant'Agostino. Arrivati sul poggio che sormonta la scogliera si può parcheggiare la macchina, a questo punto si può scendere direttamente al mare per osservare la scogliera dal basso, oppure dal poggio stesso si possono visitare gli affioramenti della parte est (vicini al fiume) e la parte alta della scogliera. Con la bassa marea è possibile camminare lungo il percorso che costeggia l'intera scogliera, si può in questo modo non solo osservare i fossili disseminati su quest'ultima ma anche trovare i pochi punti in cui la stratificazione risulta ben apprezzabile (ossia solo in due o tre punti di ampiezza di una decina di metri ciascuno).
Fotogallery
Lista delle specie rinvenute in Bagni di Sant'Agostino
Le specie precedute da "†" sono estinte. Per le sinonimie o la validità dei nomi si sono usati i database online di WoRMS, Fossilworks e WMSDB.
Regno Animali Phylum Cordati Classe Attinopterigi Famiglia Sparidae
Phylum Anellidi Classe Policheti Famiglia Serpulidae
Phylum Molluschi Classe Bivalvi Famiglia Ostreidae
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Phylum Artropodi Subphylum Crostacei Famiglia Balanidae
Phylum Briozoi
Phylum Echinodermi Classe Echinoidea
Regno Piante Phylum Rhodophyta Famiglia Corallinaceae
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Totale (determinati): 7 phylum, 5 famiglie, 5 generi, 1 specie |
Fonti
Sitografia
1. ISPRA: Note illustrative della Carta geologica d'Italia alla scala 1:50.000 foglio 285 Volterra.
2. ISPRA: Carta geologica d'Italia alla scala 1:100.000 foglio 142 Civitavecchia.
4. ISPRA: Note illustrative della Carta geologica d'Italia alla scala 1:50.000 foglio 354 Tarquinia.
7. Descrizione geosito 37: Arenarie di Manciano.
8. UniTus: Relazione sui geositi della Tuscia.
9. Natura Mediterraneo: Discussione sui denti di sparidi.
10. ISPRA: Carta geologica d'Italia alla scala 1:100.000 foglio 135 Orbetello.
11. ISPRA: Carta geologica d'Italia alla scala 1:50.000 foglio 355 Ronciglione.
12. Wikipedia: Graben.
14. Wikipedia: Anelli di Liesegang.
15. Comune di Campione d'Italia, Furrer s.p.a: La Pietra Dorata di Manciano nel progetto del Nuovo Casinò di Campione d’Italia.
16. Società Geologica Italiana: Carta geologica della zona tra il Castellaccio del Pelagone e Poggio Piazza de'Tori (Manciano, GR), scala 1:30000.
17. Società autostrada tirrenica: Relazione geologica e geomorfologica per l'autostrada A12.
21. Comune di Livorno: Le cave nell'arenaria di Calafuria.
23. Wikipedia EN: Spheroidal weathering.
26. Wikipedia: Thalassinidea.
27. Wikipedia: Ophiomorpha.
28. Wikipedia: Skolithos.
30. Liceo artistico G. Carducci di Volterra: Origine geologica dei giacimenti di alabastro e di salgemma.
31. ISPRA: Note illustrative della Carta geologica d'Italia alla scala 1:50.000 foglio 355 Ronciglione
34. Blog di Marvin Duca - Arenarie: classificazione di Zuffa e Valloni & Mezzadri
Bibliografia
3. Chiocchini, Castaldi: Caratteri sedimentologici e composizionali delle ghiaie del sintema di Poggio Martino, Bacino Plio-Pleistocenico di Tarquinia, Italia centrale.
5. Martini, Cascella, Rau: The Manciano Sandstone: a shoreface deposit of Miocene basins of the Northern Apennines, Italy
6. Barbieri et al.: Nuovi dati sull’età dell’Arenaria di Manciano (Miocene) sulla base dei valori di rapporto isotopico 87Sr/86Sr (Italia centrale).
13. Cornamusini, Bonciani, Callegari, Conti, Foresi, Massa: Stratigraphy and tectonics of the neogene-quaternary minor basins of the inner northern Apennines: the Tafone basin (Romani mts., southern Tuscany-northern Latium).
18. Pellegrini, Atti della società dei naturalisti e matematici di Modena, 1967, vol XCVIII, pag 109-125: Nuovi affioramenti di arenarie mioceniche nella Maremma Laziale.
19. Bonciani, Callegari, Conti, Cornamusini, Carmignani: Neogene post-collisional evolution of the internal Northern Apennines: insights from the upper Fiora and Albegna valleys (Mt. Amiata geothermal area, southern Tuscany).
20. Foresi, Pascucci, Sandrelli: Sedimentary and ichnofacies analysis of the Epiligurian Ponsano Sandstone (northern Appennines, Tuscany, Italy).
22. Danilo M. Bonanni: La crisi di salinità del Messiniano vol. 2, pag. 99.
24. Tesi di Dott. Francesco Giuseppe Rossi - Le Arenarie di Manciano: Valorizzazione delle Attività estrattive attraverso indagini stratigrafico-sedimentologiche, UniTus
25. Paul M. Myrow: Thalassinoides and the Enigma of Early Paleozoic Open-Framework Burrow Systems, PALAIOS 1995
29. UniPi, UniFi, UniSi, Regione Toscana: Atlante dei dati biostratigrafici della Toscana
32. Ronald McDowell, West Virginia Geological and Economic Survey: Ichnofossils
33. V. Conato e G. Dai Pra: Livelli marini pleistocenici e neotettonica fra Civitavecchia e Tarquinia (Italia centrale).
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